“Stiamo vivendo una situazione molto difficile – ci dice Marta – non siamo strutturati per le vendite a domicilio ma, essendo chiusi molti degli esercizi a cui forniamo i prodotti e non potendo fare i mercati, stiamo cercando di riorganizzarci in tal senso. Ma è molto difficile, ci vuole tempo da dedicare specificatamente a quello, anche solo per rispondere al telefono e prendere gli ordini. E poi ci sono le consegne da fare, che mettono anche un po’ di ansia perché, pur adottando tutte le misure necessarie, si ha sempre il dubbio di trascurare qualche particolare importante. La mancanza della ristorazione in particolare si fa sentire, è un settore che ancora valorizza un prodotto come la carne di capretto. Come molti siamo preoccupati per il futuro, per noi il turismo è importante perché le nostre maggiori vendite sono nel periodo estivo ai turisti che frequentano la valle. Anche i mercati sono più frequentati e quindi le vendite sono maggiori. Ed è importante anche la vicinanza con la Francia, da cui arriva buona parte dei nostri clienti. Speriamo di riuscire almeno a coprire i costi del caseificio: gas, acqua, caglio, sale. Non vorremmo arrivare a dover svendere il prodotto a qualche grossista dopo tutta la fatica fatta, solo perché non abbiamo la possibilità di raggiungere i clienti che solitamente acquistano i nostri formaggi. Quindi i dubbi per il futuro sono tanti, come per molti altri lavoratori. Ciò nonostante sappiamo di essere fortunati, viviamo in montagna e quindi siamo in mezzo alla natura, il cibo non ci manca anche se certo è una di vita di sacrificio, ma quello da sempre non solo ora. In questa stagione io mi trovo sempre di fronte a una scelta difficile da fare, vivo un conflitto interiore, perché mi trovo a dover selezionare quei capretti maschi da destinare al macello e mi costa moltissimo. Ma non ho altra scelta, per avere il latte è necessario far partorire gli animali e non è possibile tenere tutti i maschi all’interno dell’allevamento, durante il periodo degli accoppiamenti si aggredirebbero l’un l’altro. Certo che ci sono allevamenti in cui si allevano animali selezionati che partoriscono una volta e poi producono latte per un periodo molto più lungo del normale, ma sono animali selezionati appositamente e che vengono “pompati” con l’alimentazione a base di soia, mais, che non hanno mai visto il fieno e l’erba, e che dopo soli quattro anni sono talmente sfruttati da essere mandati al macello. Noi svezziamo i piccoli col latte materno fino a che non sono venduti e a quel punto il latte che viene munto viene utilizzato per la caseificazione. In alcune stalle i capretti non vengono neppure “attaccati” alla madre, vengono nutriti con un tubo attraverso il quale si dà il colostro ai cuccioli. Per carità, ognuno fa le sue scelte, ma non bisogna ingannare il consumatore. Bisogna essere trasparenti. Io ho accettato questo lavoro così com’è, cerco di farlo al meglio rispettando gli animali e la loro vita, e in modo trasparente nei confronti di chi acquista i miei prodotti. Quindi da adesso in avanti inizia anche la trasformazione del latte di capra, anche se inizialmente le quantità di latte disponibili sono molto limitate. Nel mio laboratorio trasformo anche il latte delle vacche piemontesi che allevano i miei genitori. Cerchiamo di avere un po’ di varietà, lavoriamo latte crudo e riusciamo ad avere una decina di tipologie di formaggi di capra, sia freschi che stagionati, oltre appunto ai vaccini. Pur essendo allevatori di capre abbiamo anche qualche pecora, una ventina, ed è un settore che mi piacerebbe molto sviluppare per la lana: recuperare le antiche tradizioni, per trasformare una materia pregiata come la lana che però oggi venduta come prodotto di scarto. Ricordo ancora mia nonna, quando lavava la lana nell’acqua di fiume. È un sogno, chissà…speriamo di avere l’opportunità di realizzarlo, sarebbe bello.”